mercoledì 25 febbraio 2015

PRIMO GIORNO DI ACCADEMIA


Ho insegnato per quarant’anni nelle Accademie di belle arti di Bari e di Venezia. Ero titolare di cattedra del corso speciale “Elementi di architettura ed urbanistica”, comunemente conosciuto come “Elarch” nella facoltà di Scenografia. Voglio raccontarvi un episodio che continua ad intrigarmi ogni volta che mi viene in mente.
Il primo giorno del corso. Ne ho inaugurati una quaratina di corsi e li iniziavo tutti sempre nello stesso modo che ora vi esporrò. La lezione era alle otto e trenta, poniamo quest’orario così per esempio, io arrivavo qualche minuto più tardi, alle otto e  quaranta e trovavo già l’aula piena con gli studenti che mi guardavano incuriositi e pronti a servirmi di barba e capelli.  
Fra quegli sguardi, ne leggevo parecchi che pensavano: eccolo qui il nuovo prof, speriamo che non sia il solito rompiscatole! Io salivo sulla pedana dove c’era la cattedra e la lavagna, dicevo buongiorno e mi presentavo, subito dopo mi avvicinavo alla lavagna, prendevo un gessetto poi cercavo a caso qualcuna o qualcuno fra gli studenti e lo chiamavo sulla pedana.
Con un lievissimo imbarazzo l’invitato si avvicinava alla lavagna ed io, dandogli il gessetto, gli dicevo: “Grazie per essere venuto, per favore costruiscimi un quadrato”, cercando di avere una voce la più naturale e meno imbarazzante possibile
Lo studente con un qualche imbarazzo si avvicinava alla lavagna e “disegnava” un quadrato. Questo episodio si è ripetuto “sempre nelle stesse modalità” per una quarantina di volte, sia al Sud che al Nord. Subito dopo aver tracciato il quadrato lo ringraziavo con gentilezza e gli dicevo che poteva tornarsene al posto. Tutti mi guardavano straniti. Subito dopo, molto tranquillamente, rivolgendomi a tutti e dicevo << ragazzi ho detto “costruire” non ho detto “disegnare”. Come certamente ben saprete sono due parole molto diverse fra loro. Vi sarete resi conto subito che l’importante, nella comunicazione è che la medesima non sia a senso unico ma che si muova nei due sensi>>. Immediatamente scattava un lampo negli occhi dei miei studenti, avevo forato il muro di ghiaccio e avevo tirato fuori la loro curiosità. Il rapporto prof studenti era iniziato bene.  

Dopo di che invitavo qualche altro a “costruire” un quadrato e vi garantisco che se ne vedevano delle belle. Sul quadrato, senza che nessuno si stufasse, restavamo a lavorare per un paio di settimane finchè si cominciava ad entrare in punta di piedi nel mondo delle forme per poterle prima individuare e poi manipolare in moltissime maniere. Di questo ne parleremo la prossima volta. Se qualche giovane lettore volesse provare a “costruire con la sola matita senza compasso e squadre” oppure “con compasso e squadre e quant’altro”  si accorgerebbe che di maniere per costruire una forma piana ce ne sono una infinità. Alle prossime.  

martedì 24 febbraio 2015

UN CAPOLAVORO DELL'UMANITA'


CAPOLAVORO DELL’UMANITA’

Stamattina  ho preso la decisione di dedicarmi a Bach che, come sapete, è il cognome di Dio. Ho dunque ascoltato in religioso silenzio moltissime suite francesi. Vi invio un link della numero cinque, ascoltatelo con attenzione e vi rigenererà. Prestate particolare attenzione alla mano sinistra

http://www.youtube.com/watch?v=S-7v_AUNN4c
J.S.Bach / Andràs Schiff suona la suite francese #5


Ascoltando questa suite, mi sono chiesto da dove il carissimo Bach prendesse quei meccanismi sonori, che, tra l’altro, sono anche abbastanza facili  da suonare, ma, che pur essendo facili, si fa per dire, sono dei capolavori assoluti.

La cosa che più mi ha intrigato è stato il pulitissimo uso della mano sinistra. Con la destra il pianista suona un fraseggio abbastanza complesso, mentre con la sinistra utilizza un fraseggio di una semplicità sconcertante. Fraseggio talmente facile, che, anche io, dilettante  scarrupato e ignorante, riuscirei a leggere.

Usando la mano sinistra in maniera così esemplarmente leggera, Bach costruisce un accompagnamento di infinita bellezza. Sono convintissimo che, se fosse vissuto ai giorni nostri, avrebbe certissimamente fatto delle magnifiche incursioni nella musica jazz. franz falanga 

venerdì 20 febbraio 2015

UNA GRAN BRUTTA MUTAZIONE

UNA GRAN BRUTTA MUTAZIONE
Nel gennaio del 1954 io avevo ventuno anni e ai primi dello stesso mese in Italia la Radio Italiana iniziò a diffondere i suoi primi programmi televisivi. Come prima cosa si iniziò ad  acquistare televisori. Nel mio condominio, un palazzo di tre piani a Bari,  c’erano sei famiglie. La prima famiglia con un televisore fu una del terzo piano. Mi ricordo che per diversi mesi, ogni sera tutti i condòmini si portavano su le sedie fino al terzo piano, per “vedere” la televisione.
In un annetto praticamente tutti acquistarono un televisore e ognuno restò/ritornò nelle proprie case. I primi mesi del 1954 sono stati quindi molto collettivi e aggreganti in tutt’Italia, dopo, ognuno tornò nelle proprie giungle private e da qual momento, nell’intera comunità nazionale, iniziò una mutazione.
Questa mutazione, senza che nessuno se ne accorgesse,  iniziava a mutare la cultura della città dolcemente e lentamente. Iniziammo ad accorgerci di questa mutazione quando i segni -  segnali, erano diventati più frequenti e, soprattutto più chiari. Ci saranno voluti sei sette anni, poi, ahimè, in pochi  iniziammo ad accorgercene. Fino al “Musichiere”, condotto con signorilità da Mario Riva, tutto procedeva teneramente e con estrema simpatia.
Cominciarono, sempre quei pochi, ad accorgersi che qualche cosa stava cambiando con l’avvento di Mike Buongiorno, un giovanotto italo americano che furoreggiava sulla rete nazionale, avendo una valletta bella ma muta, nuova professione foriera di cose enormi nel campo del futuro  gossip e della futura scadente morale corrente.
A ciò si aggiungeva una nuova figura professionale, un signore mai inquadrato dalle telecamere che, a un suo cenno, faceva applaudire, ridere, mugugnare il pubblico. Il pubblico, gli spettatori, insomma tutti quelli che “guardavano”  la  televisione, iniziavano a non pensare più con la propria testa (ricordatevi del Picchio di Davide Ceddìa) ma a pensare con la testa di misteriose divinità nascoste che iniziavano a proliferare in quella realtà virtuale che appariva a tutti come una componente della vita, ma che in realtà era ed è un simulacro di vita, un guscio vuoto di vita, nel migliore dei casi.   
La mutazione che ci era capitata fra capo e collo, non certo per nostra scelta, nostra nel senso di popolo, era ormai sopra di noi come una nuvola pesante e oscura, fermamente  ancorata sulle nostre esistenza e stava inziando a produrre i suoi effetti che sempre più diventarono micidiali.
Il mostro del consumismo, nato nel nuovo mondo americano, strumento del capitale, diventava sempre più sottile, sempre più capace di influenzare le coscienze, le nostre vite senza che ce ne accorgessimo.
Potrei continuare all’infinito, ma preferisco tornare con i piedi nel nostro presente quotidiano, all’oggi come dicono quelli che parlano difficile. La mutazione è diventata gigantesca e nello stesso momento, è diventata invisibile, nessuno più ci fa caso, nessuno più la nota, nessuno  più, salvo pochissime eccezioni, si rende conto di essere mutato personalmente nel senso che da umano, è lentamente diventato un umanoide, per poi arrivare a diventare una perfetta marionetta, con tutti i connotati di una persona normale, con la differenza di essere fatta di legno e di avere alle mani , alle braccia, ai piedi, alle ginocchia, al collo, dei fili invisibili che sono maneggiati con astuzia inimmaginabile da una schiera di burattinai, a loro volta manipolati da pochi burattinai che ormai sono diventati i padroni della terra e che abitano in regioni, in paradisi, sconosciuti.
Come se ne esce? Facile, (si fa per dire): se ne esce  con l’unico strumento che abbiamo disposizione, con la Scuola.
Condizione necessaria e sufficiente  è che i professori e le professoresse non siano loro stessi burattini e burattine. Questo è il problema terribile che  fa dei professori dei nostri poveri figli, delle persone mitiche, magiche, potenti, in senso positivo.  Ma, all’oggi, come direbbero quelli che parlano difficile, sono pochissimi, e quelle poche e quei pochi che ci sono confinati nella palude dei sovversivi, dei cattivoni, dei malvagi, di quelli insomma che non si fannoo i fatti propri.
E così torniamo ai Borboni di un  paio di secoli fa. Oltre agli americano con la loro pubblicità, molto prima di loro avevano provveduto i Borboni, europei dunque. Feste, farina e forche. Festeggiamenti spettacoli televisivi odierni quanti ne volete, una, dieci, cento isole dei famosi, farina, ristoranti pieni osterie piene, luoghi di divertimento culinario e guardone finchè ne volete, a patto di evitare di pensare. Pensare fa male, porta alla forca. franz falanga